LA QUESTIONE MERIDIONALE
Uno dei libri che rispecchia di più la
situazione nata dopo l’unificazione d’Italia è “I Malavoglia”.
Il componimento, già dal primo capitolo,
riflette la “Questione meridionale”, cioè l’attenzione posta ai problemi delle
regioni del mezzogiorno negli anni successivi al
1861.
I contadini del sud avevano sperato che la
rivoluzione garibaldina avesse portato ad una riforma agraria che li rendesse
proprietari della terra che lavoravano; invece si trovarono a dover affrontare
altri e nuovi problemi, come la leva obbligatoria, che toglieva una gran parte
della manodopera, e alcune crisi agricole ( 1886-87 , quella più pesante) che
aggravavano la situazione.
La situazione meridionale
tuttavia non fu solo un problema di tipo economico ma divenne anche un dibattito
politico negli stessi anni in cui viene pubblicato il romanzo di Verga (
1881). Questo problema nato nel
meridione non fu trattato solo da Giovanni Verga, ma anche da altri poeti come
Villari, Facchetti e Sonnino che esposero la situazione difficile
dell’isola.
Queste problematiche si riflettono ne “I
Malavoglia”;l’usura, le rendite parassitarie degli sfruttatori, la cattiva
amministrazione , le imposte dei comuni, le opere pie, il mal o anche nullo
intervento dello stato, il contrabbando, la coscrizione di massa sono aspetti
che emergono nel Romanzo.
Già nel primo capitolo si parla della leva
obbligatoria, istituita dai Savoia, accusati di piemontizzazione, che provocò
effetti disastrosi per l’agricoltura. Nel secondo capitolo fa una distinzione
tra i pescatori poveri del sud e le aziende della pesca del
nord.
Nel terzo capitolo si parla della tassa sul
sale e sulla successione.
Nel quarto si parla della tassazione
inflitta dallo stato.
Nel sesto capitolo si parla del dazio sul
pesce e della conseguente rivolta.
Il punto di vista di Verga è che l’onesto
lavoro di padron‘Ntoni e della sua famiglia è compromesso dal fatto che tale
attività si fonda su un’unica fonte di approvvigionamento : la
pesca.
Al confronto, zio Crocifisso può ben
lavarsene le mani, tanto che nel
capitolo due afferma che “Giacche ci ho le mie chiuse e le mie vigne che mi
danno il pane”. Egli è l’usurario che “ si pappava il meglio della pesca senza
pericolo”, il simbolo delle forze sociali che oggi diremmo improduttive: come
don Silvestro, segretario comunale e truffatore, Padron Cipolla, latifondista
che implica ai suoi operai di pescare tutto il giorno, e Piedipapera, mediatore
in combutta con i contrabbandieri.
Verga guarda con sospetto
l’industrializzazione in atto a spese del Mezzogiorno italiano. Sin dalla
Prefazione del romanzo è assente qualunque traccia di ideologia evoluzionistica
in senso positivo: Il progresso per Verga è una “Fiumana” e può sembrare “
stupendo” solo per chi lo vede da lontano, ma se si osserva con molta attenzione
si scoprono egoismi, lotte feroci, le conseguenti sconfitte dei deboli da parte
dei grandi imprenditori.
situazione nata dopo l’unificazione d’Italia è “I Malavoglia”.
Il componimento, già dal primo capitolo,
riflette la “Questione meridionale”, cioè l’attenzione posta ai problemi delle
regioni del mezzogiorno negli anni successivi al
1861.
I contadini del sud avevano sperato che la
rivoluzione garibaldina avesse portato ad una riforma agraria che li rendesse
proprietari della terra che lavoravano; invece si trovarono a dover affrontare
altri e nuovi problemi, come la leva obbligatoria, che toglieva una gran parte
della manodopera, e alcune crisi agricole ( 1886-87 , quella più pesante) che
aggravavano la situazione.
La situazione meridionale
tuttavia non fu solo un problema di tipo economico ma divenne anche un dibattito
politico negli stessi anni in cui viene pubblicato il romanzo di Verga (
1881). Questo problema nato nel
meridione non fu trattato solo da Giovanni Verga, ma anche da altri poeti come
Villari, Facchetti e Sonnino che esposero la situazione difficile
dell’isola.
Queste problematiche si riflettono ne “I
Malavoglia”;l’usura, le rendite parassitarie degli sfruttatori, la cattiva
amministrazione , le imposte dei comuni, le opere pie, il mal o anche nullo
intervento dello stato, il contrabbando, la coscrizione di massa sono aspetti
che emergono nel Romanzo.
Già nel primo capitolo si parla della leva
obbligatoria, istituita dai Savoia, accusati di piemontizzazione, che provocò
effetti disastrosi per l’agricoltura. Nel secondo capitolo fa una distinzione
tra i pescatori poveri del sud e le aziende della pesca del
nord.
Nel terzo capitolo si parla della tassa sul
sale e sulla successione.
Nel quarto si parla della tassazione
inflitta dallo stato.
Nel sesto capitolo si parla del dazio sul
pesce e della conseguente rivolta.
Il punto di vista di Verga è che l’onesto
lavoro di padron‘Ntoni e della sua famiglia è compromesso dal fatto che tale
attività si fonda su un’unica fonte di approvvigionamento : la
pesca.
Al confronto, zio Crocifisso può ben
lavarsene le mani, tanto che nel
capitolo due afferma che “Giacche ci ho le mie chiuse e le mie vigne che mi
danno il pane”. Egli è l’usurario che “ si pappava il meglio della pesca senza
pericolo”, il simbolo delle forze sociali che oggi diremmo improduttive: come
don Silvestro, segretario comunale e truffatore, Padron Cipolla, latifondista
che implica ai suoi operai di pescare tutto il giorno, e Piedipapera, mediatore
in combutta con i contrabbandieri.
Verga guarda con sospetto
l’industrializzazione in atto a spese del Mezzogiorno italiano. Sin dalla
Prefazione del romanzo è assente qualunque traccia di ideologia evoluzionistica
in senso positivo: Il progresso per Verga è una “Fiumana” e può sembrare “
stupendo” solo per chi lo vede da lontano, ma se si osserva con molta attenzione
si scoprono egoismi, lotte feroci, le conseguenti sconfitte dei deboli da parte
dei grandi imprenditori.