PERIODO VERISTA E CICLO DEI VINTI
Nel 1878 esce un racconto che si discosta fortemente dalla materia e dal linguaggio della sua narrativa anteriore, dagli ambienti mondani, dalle passioni raffinate artificiose, dal soggettivismo esasperato: si tratta di “Rosso Malpelo”, storia di un garzone di miniera che vive in un ambiente duro e disumano, narrata con un linguaggio nudo e scabro, che riproduce il modo di raccontare di una narrazione popolare. È la prima opera della nuova maniera verista, ispirata ad una rigorosa impersonalità.
In realtà non esiste una frattura netta tra i due momenti del narrare verghiano: Verga si proponeva fermamente di dipingere il “vero” già ai tempi di “Eva” e di “Eros”.
Con la conquista del metodo verista Verga non abbandona gli ambienti dell’alta società per quelli popolari, ma si propone di tornare a studiarli con quegli strumenti più incisivi di cui si è impadronito: le “basse sfere” non sono che il punto di partenza del suo studio dei meccanismi della società perché in esse tali meccanismi sono meno complicati. Poi lo scrittore intende applicare via via il suo metodo anche agli strati superiori sino all’aristocrazia, alla politica e all’alta intellettualità.
La nuova impostazione narrativa è continuata da Verga in una serie di altri racconti pubblicati tra il 1879-1880 nel volume “Vita dei campi”: “Cavalleria rusticana”, “La lupa”, “Jeli il pastore”, “Fantasticheria”, “L’amante di Gramigna”, “Guerra di santi” e “Pentolaccia”. Anche in questi racconti spiccano figure caratteristiche della vita contadina siciliana, ma accanto alla scabra rappresentazione verista e pessimistica del mondo rurale, in queste novelle si può trovare ancora traccia di un atteggiamento romantico, di una nostalgia di un ambiente arcaico, autentico e innocente.
Parallelamente alle novelle, Verga, concepisce anche il disegno di un ciclo di romanzi in cui si propone la volontà di tracciare un quadro sociale passando in rassegna tutte le classi. Criterio unificante è il principio della lotta per la sopravvivenza che lo scrittore ricava dalle teorie di Darwin: tutta la società, ad ogni livello, è dominata da conflitti d’interesse, ed il più forte trionfa, schiacciando i più deboli. Verga però non intende soffermarsi sui vincitori e sceglie come oggetto della sua narrazione i “vinti”.
Nel primo romanzo, “I Malavoglia”, si parla della lotta per i bisogni materiali; nei romanzi successivi sarà analizzata la “ricerca del meglio” nel suo progressivo elevarsi attraverso le classi sociali.
Tra il primo e il secondo romanzo del ciclo passano otto anni nei quali escono le “Novelle rusticane” (1883) e il dramma “Cavalleria rusticana” (1884) tratto da una novella di “Vita dei campi”.
Nel 1889 esce infine il secondo romanzo del ciclo dei “vinti”, “Mastro don Gesualdo”, in cui Verga resta fedele al principio dell’impersonalità, però il livello sociale, in obbedienza al piano del ciclo, si è elevato: non si tratta più di un ambiente popolare, ma di un ambiente borghese e aristocratico.